La deriva commerciale della psicoterapia: riflessioni su una recente campagna promozionale.

Negli ultimi giorni, una campagna di marketing promossa da una nota piattaforma di psicoterapia online ha scatenato un acceso dibattito all’interno della comunità professionale italiana. La piattaforma, in partnership con un’azienda produttrice di detergenti intimi, ha lanciato un’iniziativa commerciale che prevede, con l’acquisto di determinati prodotti, la “ricompensa” di due sedute gratuite di consulenza psicologica. Questo abbinamento tra prodotti di igiene personale e psicoterapia ha generato perplessità e preoccupazione, culminate in un comunicato ufficiale del Consiglio nazionale dell’ordine degli psicologi.

 

Una questione etica

Se le scelte commerciali di un’azienda possono essere giustificate da un punto di vista economico, l’offerta di sedute gratuite come incentivo all’acquisto di prodotti di consumo ha evidenziato un preoccupante slittamento verso una mercificazione della cura psicologica.

I colloqui psicologici e psicoterapeutici infatti non sono una merce qualunque dal punto di vista della legge – che prevede che la pubblicità delle attività sanitarie non possa avere carattere attrattivo o suggestivo – ma nemmeno nella percezione del pubblico e dei professionisti. 
Psicologhe e psicologi non si sentono rappresentati da una pubblicità che sottintende che rivolgersi a un professionista della cura psicologica possa essere quasi casuale, legata a un’offerta commerciale invece che a una scelta significativa e consapevole della persona, ricca di risvolti simbolici ed emozioni. L’importanza che attribuiamo al nostro lavoro è infatti strettamente legata alla percezione sociale della sua rilevanza, professionalità e utilità; se le nostre prestazioni diventano un omaggio legato all’acquisto di altri prodotti che “valore” assumono?

 

Stiamo cambiando?

Anche se questo episodio ha colpito profondamente la categoria non c’è dubbio che almeno negli ultimi 10 anni il tema della comunicazione della professione sia diventato sempre più cruciale e critico. Questo è accaduto certamente per l’avvento dei social media e la possibilità per ogni professionista di pubblicizzare il proprio lavoro, spesso cercando formule creative per distinguersi dalle altre psicologhe e psicologi presenti in rete. Proprio per questo è sempre più frequente che nelle commissioni deontologiche degli ordini regionali arrivino esposti che segnalano proprio le comunicazioni online (sia professionali che personali) di colleghe e colleghi.

 

Il ruolo della comunità professionale

La psicoterapia è un intervento che richiede competenza, tempo e un setting sicuro, lontano dalle logiche di mercato che governano la vendita di prodotti di largo consumo, questo è chiaro alla maggior parte delle colleghe e dei colleghi. Allo stesso tempo non c’è dubbio che come comunità dobbiamo interrogarci su ciò che riteniamo accettabile nella comunicazione professionale. Dato il vasto consenso nella condanna di una comunicazione così fortemente orientata in senso commerciale credo sia necessario che gli ordini interroghino la comunità professionale su ciò che essa ritiene una comunicazione professionale corretta e accettabile, perché è prevedibile che in futuro l’interrogativo su ciò che è lecito o deontologico nella promozione della professione si porrà nuovamente sia per riguardo a singole professioniste e professionisti sia relativamente alle grandi società erogatrici di prestazioni psicologiche.

 

Quello che è stato fatto e si farà

Oltre alle iniziative di carattere deontologico previste dal nostro ordinamento e demandate agli ordini regionali è certamente corretta l’intenzione, recentemente comunicata dal nostro ordine nazionale, di aggiornare le linee di indirizzo per la pubblicità professionale, linee che dovranno provare anche a declinare ciò che riteniamo “decoroso” per la professione.

 

Come ha risposto UnoBravo

In risposta a tutte le critiche arrivate sui social, l’azienda ha deciso di rispondere con un comunicato “morbido”, che in parte è condivisibile e apprezzabile.

Il comunicato inizia richiamando il tema del “tabù” delle cure nella salute mentale e di come questo abbia impedito alle persone di cercare aiuto – e tocca così un tasto al quale tutta la categoria delle psicologhe e degli psicologi è molto sensibile – l’azienda sottolinea inoltre di aver scelto di diventare “un centro medico” come dimostrazione di serietà e rispetto verso il lavoro delle professioniste e professionisti con i quali colaborano. Quello che per l’azienda UnoBravo è una scelta di qualità è probabilmente anche una scelta obbligata, non ci sono note infatti altre forme legali per erogare prestazioni sanitarie mediante una società di capitali.

Rispetto alle critiche ricevute, l’azienda ribadisce il suo punto di vista ovvero che la campagna con Chilly ha per obiettivo di “rendere accessibile il supporto psicologico e ad abbattere lo stigma” e dice di essere sinceramente dispiaciuta per non aver tenuto in debita considerazione alcuni “elementi” della campagna che dopo le critiche ricevute sono per loro diventati “più evidenti”. La formulazione è vaga ma la considerazione che ne consegue è quella certamente per noi più interessante e corretta: l’azienda infatti è intenzionata a coinvolgere le proprie terapeute e i terapeuti nell’esame di future campagne promozionali.

Speriamo che sarà effettivamente così perché riteniamo che non ci sia cosa migliore che coinvolgere direttamente la categoria nelle scelte comunicative che la riguardano.

Inoltre, altro elemento apprezzabile, unoBravo difende professioniste e professionisti che con loro collaborano e che in alcuni sfortunati casi sono stati oggetto di critiche personali durante il dibattito sulla campagna promozionale. Ricordiamo infatti che anche nella newsletter inviata da OPL su questo tema si sottolineava proprio questo aspetto, ovvero che i professionisti che lavorano con la piattaforma non hanno a che fare con le scelte di marketing dell’azienda.

 

Conclusioni

A mio parere questo “incidente” non finisce qui, anzi rappresenta la possibilità per la nostra comunità professionale di interrogarsi sulla descrizione di professione che vogliamo emerga dalle pubblicità e in generale dai contenuti promozionali che singoli o aziende utilizzano per la propria attività. A mio parere – considerata l’evoluzione della tecnologia e del suo utilizzo – sarà un processo lungo, fatto di periodici aggiornamenti e legato alla nostra percezione di ciò che è accettabile, percezione che potrebbe cambiare come già successo nel corso dei decenni.

 

 

Davide Baventore, VicePresidente Ordine Psicologi Lombardia