Educare è prevenire: perché l’educazione sessuale e affettiva non può aspettare

Di fronte all’approvazione in data 15 ottobre 2025, in sede di Commissione Cultura della Camera dei Deputati, di un emendamento — promosso dal gruppo parlamentare della Lega Nord e relativo al disegno di legge sul “consenso informato” nelle scuole — che limita l’introduzione dell’educazione sessuale e affettiva soltanto alle scuole superiori e solo previo consenso informato delle famiglie, Professione Psicolog* ritiene doveroso intervenire per evidenziare i profili critici, le implicazioni psicopedagogiche e il disallineamento rispetto alle pratiche europee consolidate.

L’emendamento in questione dispone che nelle scuole primarie e secondarie di primo grado (medie) non possano essere attivate «attività didattiche e progettuali aventi ad oggetto temi attinenti all’ambito della sessualità», mentre nelle scuole secondarie di secondo grado (superiori) l’educazione sessuo-affettiva diventa ammissibile soltanto previo consenso informato dei genitori che devono essere resi edotti sui temi trattati e sul materiale didattico (Il Fatto Quotidiano, 16 ottobre 2025).

Perché riteniamo che la scelta adottata sia non solo discutibile ma anche controproducente?

In primo luogo perché dalla letteratura sappiamo che, già nella fascia della scuola secondaria di primo grado, gli alunni entrano in una fase di trasformazione fisica (pubertà), emotiva e relazionale che richiede strumenti di conoscenza, riflessione e accompagnamento. Se si rimanda l’educazione alle sole scuole superiori, ci si espone al rischio che molti giovani arrivino alla “fase attiva” delle relazioni affettive o sessuali senza aver ricevuto una preparazione, un linguaggio e, in alcuni casi, senza aver avuto neppure un riconoscimento adeguato ai cambiamenti in corso.

In tal senso, l’educazione alla sessualità non va intesa come mera informazione biologica, ma come educazione all’affettività, al rispetto, al consenso, alla conoscenza di sé e dell’altro, alle relazioni interpersonali. Escludere anticipatamente queste riflessioni rischia di lasciare i ragazzi in una condizione di vulnerabilità emotiva e informativa.

In secondo luogo, indicazioni internazionali come quelle dell’UNESCO e del Consiglio d’Europa segnalano l’importanza di percorsi di educazione sessuo-affettiva precoci, continui e coerenti con l’età dei destinatari, specifici per ciascuna fase di crescita, come accade in Svezia, in Danimarca e nei Paesi Bassi, dove si interviene già nei primi anni della scuola primaria o nella scuola media. L’Italia, quindi, con questo emendamento, non solo non colma il ritardo che ha con i Paesi più avanzati, ma anzi decide di ritardare sistematicamente l’ingresso dell’educazione affettiva e sessuale nel percorso scolastico.

In linea con queste evidenze, anche il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi (CNOP) è recentemente intervenuto sul tema, chiedendo una revisione della scelta di escludere l’educazione affettiva e sessuale dai percorsi scolastici.

Nella lettera inviata alla Presidenza del Consiglio e ai Ministeri competenti, il CNOP ha ricordato che vietare tali percorsi significa esporre i giovani alla disinformazione e privarli di strumenti fondamentali di crescita emotiva, relazionale e di prevenzione della violenza (clicca qui per leggere la news).

Se la politica dell’educazione interpreta la scuola anche come presidio di prevenzione rispetto a fenomeni quali stereotipi di genere, discriminazioni, violenza di genere, comportamenti sessuali a rischio, allora che senso ha decidere di ridurre i tempi di intervento?

L’educazione affettiva e sessuale è anche una misura di prevenzione della violenza sulle donne e della violenza di genere in senso più ampio. La ricerca psicologica e psicosociale mostra come la capacità di riconoscere le proprie emozioni, di comprendere i confini dell’altro e di distinguere tra desiderio, consenso e potere relazionale si sviluppi gradualmente, e può essere potenziata attraverso percorsi educativi mirati. Lavorare su questi aspetti fin dalla scuola primaria significa agire sulla radice delle disuguaglianze e delle distorsioni relazionali che, se non corrette precocemente, possono tradursi in forme di dominio, controllo o aggressività nelle relazioni adulte.

Numerosi programmi europei dimostrano che affrontare in modo continuativo i temi del rispetto, del consenso e dell’uguaglianza di genere riduce l’incidenza di atteggiamenti sessisti, stereotipi rigidi di ruolo e relazioni violente in adolescenza e in età adulta. Non si tratta di “parlare di sesso” con i bambini, ma di aiutarli a riconoscere il valore del rispetto reciproco, la differenza tra affetto e possesso, tra libertà e invasione.

In un Paese in cui ogni anno si contano centinaia di episodi di femminicidio e di violenze domestiche, anche limitare questi percorsi educativi significa rinunciare a una delle più potenti strategie di prevenzione primaria disponibili. L’assenza di un’educazione affettiva strutturata contribuisce a perpetuare una cultura della disuguaglianza e del silenzio, nella quale il tema della violenza viene affrontato solo a posteriori, quando il danno è già avvenuto. Prevenire non significa anticipare la sessualità, ma anticipare la consapevolezza.

Come psicologi e come professionisti che operano a contatto con adolescenti, famiglie e scuole, sappiamo che la scuola è uno dei contesti in cui i ragazzi, oltre che apprendere nozioni e imparare a pensare, possono ricevere competenze relazionali, emotive e di cittadinanza affettiva che non sempre riescono a trovare nelle proprie famiglie o all’interno dei contesti che frequentano abitualmente, con un conseguente ricorso dei giovani a fonti spesso non preventive (internet, pornografia, peer group), con tutti i rischi connessi.

Se da un lato sosteniamo fermamente il ruolo essenziale delle famiglie nell’educazione affettiva, dall’altro è importante che non si scarichi esclusivamente su di esse l’intervento. Gli psicologi scolastici e i servizi devono facilitare la costruzione di alleanze educative scuola-famiglia, perché la sospensione o il ritardo dei contenuti può generare “vuoti” che difficilmente vengono colmati in modo informato.

In conclusione, riteniamo che la scelta di limitare l’educazione sessuo-affettiva alle scuole superiori e solo con consenso preventivo delle famiglie costituisca un passo significativo indietro rispetto all’evoluzione europea delle politiche scolastiche in materia di affettività, sessualità, genere e relazioni.

Si tratta di un’occasione mancata: la scuola potrebbe – e dovrebbe – essere un luogo privilegiato di promozione della consapevolezza affettiva e sessuale, della prevenzione della violenza, della promozione del rispetto reciproco, dell’eguaglianza di genere, della responsabilità relazionale.

Ridurre o rinviare questi percorsi significa rinviare anche la costruzione delle competenze per la promozione di relazioni più sane e consapevoli, per la riduzione di comportamenti a rischio e per la prevenzione delle violenze e degli abusi che giovani e adolescenti di oggi sono i primi a richiedere.

Come ha sottolineato Valentina Di Mattei, Presidente dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia, proprio quando aumentano i segnali di violenza e disagio tra i più giovani, si parla di togliere spazio al dialogo e all’educazione. Eppure, educare alle emozioni e alle relazioni significa prevenire, non ideologizzare: è in questo modo che si costruisce una cultura del rispetto e della responsabilità.